L’IO, IL SE’ E L’ASSOLUTO

Le esperienze di asceti induisti o buddhisti, di mistici cristiani o gnostici, di sufi islamici etc …. , portano tutte ad una identica Verità.
Provenienti da tradizioni religiose diverse, ritirandosi per anni nelle foreste o nel deserto, hanno scoperto una Verità, identica in tutti i casi, che non aveva niente a che vedere con le rispettive religioni di provenienza.
Quanto detto vale per quei pochissimi tra di essi che sono giunti fino alla meta e non per coloro che hanno raggiunto solo stadi intermedi, seppur elevati, che, in qualche modo, sono rimasti legati alla religione di provenienza.
Questa scoperta sembra proprio che sia stata una “riscoperta”, in quanto coincide con quanto afferma un insegnamento antichissimo, di provenienza ignota, conservato e tramandato, di generazione in generazione, nel corso dei millenni, da particolari confraternite e società “segrete”, sotto il nome di “Tradizione Primordiale”.
Questa Verità non è comunicabile con lo strumento del linguaggio e la via per raggiungerla è estremamente ardua e piena di ostacoli.
Leggiamo nel Vangelo di Matteo (7, 13-14):
“Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!”
Concetto analogo lo troviamo nel Dhammapada Buddhista:
“Pochi sono fra gli uomini quegli esseri che toccano l’altra sponda: tutta questa altra gente, invece, corre su e giù per la spiaggia”.
Per quanto detto, quei pochi esseri umani che hanno raggiunto la meta finale, volutamente non hanno scritto nulla e, dato che il loro reale messaggio era comprensibile veramente solo da pochi esseri umani, ciò ha generato equivoci e travisamenti, dai quali purtroppo sono nate tutte le grandi religioni dell’epoca “storica” dell’umanità conosciuta.
Usando lo strumento del linguaggio, possiamo esporre con grande semplicità la Verità di cui stiamo parlando, e lo faremo in questa breve nota, ma si tratta di una esposizione teorica, la cui conoscenza non ha alcuna utilità: la realizzazione della meta è una attività “pratica” e non intelletualistica e questo è il maggiore ostacolo per l’uomo comune.
Leggiamo nella Brahmabindu Upanishad (18):
“Il saggio, dopo aver studiato i trattati della conoscenza religiosa e profana, abbandoni completamente tali trattati, come colui che cercando il seme abbandona la scorza”.
Ed ecco la Scienza Eterna:
Esiste una sola Realtà, al di fuori dello spazio e del tempo, priva di causa, indescrivibile, incorporea, infinita, assoluta, trascendente ed immanente, eterna. È il principio ultimo che non ha avuto inizio, non ha una fine, nascosto in tutte le cose, causa, fonte, materia ed effetto di tutta la Creazione conosciuta e sconosciuta. E’ l’origine del mondo divino, di quello umano e di tutti i mondi conosciuti e sconosciuti. Rappresenta la base del manifesto e dell’immanifesto, uno stato indifferenziato di puro essere, eternità e beatitudine, situato al di là di qualsiasi speculazione filosofica o moto devozionale.
L’uomo ha la eccezionale possibilità di prendere consapevolezza di questa Realtà, perchè essa è presente in tutti gli esseri viventi, in tutte le forme di vita e di indentificarsi con Essa.
La situazione tragica dell’uomo nasce da un errore, da un errato punto di vista, dal quale nasce l’esistenza illusoria di un io individuale immerso in un mondo altrettanto irreale.
Nell’esperienza ordinaria siamo abituati a distinguere tra un Soggetto ed un Oggetto: io guardo un albero e “stabilisco” che io sono il Soggetto e l’albero è l’Oggetto. Ad un attento esame è però facile notare che entrambi siamo parte di una rappresentazione mentale, al di fuori della quale è impossibile uscire.
All’interno di questa Rappresentazione, una vera prigione, ci sono io e tutto ciò che io reputo essere “fuori” di me.
L’Errore consiste nel mio identificarmi solo con un lato della Rappresentazione, quello che definisco col nome di “io”.
L’Essere reale non è dunque l’io, ma il Testimone dell’intera Rappresentazione della quale l’io è solo una delle parti.
Dobbiamo dunque riconoscere che siamo precipitati in una realtà illusoria che crea la convinzione di un io individuale e di una realtà esterna all’io. Il Testimone è prigioniero di questa realtà illusoria la cui natura caotica è ordinata dalle categorie, altrettanto irreali, del Tempo e dello Spazio.
L’errore, che avviene istantaneamente, in un processo al di fuori del tempo, è ben descritto dai tre passi enunciati dal grande filosofo tedesco Fichte:
1) Nell’Assoluto l’Io pone se stesso.
2) Nel momento in cui l’Io si è posto si forma l’idea di Non-Io, cioè che esista qualcosa di diverso dall’Io.
3) A questo punto l’Io, ora limitato dal Non-Io, si frammenta nella molteplicità degli esseri senzienti.
Se in uno specchio c’è una immagine, quando si rompe lo specchio tutti i frammenti hanno la stessa immagine. Quanto detto non avviene nel tempo, ma è un processo istantaneo, sta avvenendo adesso! E’ praticamente quello che nei grandi sistemi di pensiero tradizionali viene chiamato “La Caduta”. In pratica la triste situazione del singolo io empirico è dovuta ad un turbamento dell’Assoluto che si è posto come Io, creando così, non volutamente, il Non-Io e frammentandosi nei singoli io.
Si può comprendere ora il concetto buddhista che ogni essere vivente è un Buddha potenziale in quanto, percorrendo a ritroso il processo descritto, può diventare un Buddha reale.
Nel grandioso sistema filosofico dell’Advaita Vedanta induista, si afferma praticamente lo stesso concetto.
Questo sistema proclama semplicemente l’identità dell’Atman (anima individuale) con il Brahman (principio unico universale) e l’illusorietà di tutto il mondo sensibile: sia l’universo fenomenico, sia la nostra coscienza, sia il corpo, che le nostre esperienze, sono realtà illusoria. Compito dell’Uomo è di rompere l’illusorio velo di Maya e prendere coscienza di questa identità (illuminazione).
L’Uomo dunque, per l’Advaita Vedanta, è proprio come il prigioniero del “Mito della caverna” di Platone, che scambia le ombre proiettate sul muro per la realtà, lontano dalla luce ed immerso nelle ombre di una pseudorealtà.
Leggiamo nella Kaivalya Upanishad (I, 16 e II, 23-24):
“Questo supremo Brahman, Atman universale, immensa dimora di tutto ciò che esiste, più sottile di ogni cosa sottile, costante: in verità é te stesso, perché Tu sei Quello”.
“Quando si é conosciuto l’Atman supremo, che riposa in un posto nascosto, senza parti e senza dualità, quale Testimone, esente dall’essere e dal non-essere, si perviene alla condizione dell’Atman universale”.
Dunque nel profondo dell’animo umano, nascosto da un illusorio io individuale e da una rappresentazione mentale di un mondo esterno altrettanto irreale, esiste il Sé, il vero Testimone, che altro non è che l’unico Principio Universale di cui abbiamo parlato precedentemente.
Dice la famosa iscrizione posta all’ingresso del tempio di Apollo a Delfi:
“Ti avverto, chiunque tu sia: Oh tu che desideri sondare gli arcani della Natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei. Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei”.
E leggiamo nel Vangelo di Tommaso:
“Il Regno dei Cieli è dentro di voi e fuori di voi. Colui che trova il senso segreto di queste parole non assaggerà la morte”.

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Ingegnere Chimico
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