CHE COS’E’ IL MARTINISMO, ARTICOLO DI FILIPPO GOTI

“Se non sai definire cosa stai facendo i fatti sono tre: o non sai cosa fai, o non comprendi cosa fai, o non lo fai. In ognuno di questi casi, se non puoi interrompere il tuo cimento e riflettere, almeno evita di produrre confusione per altri.” (istruzioni per l’associato tratto dal Libro Mem del Sovrano Ordine Gnostico Martinista)

In questo breve paragrafo cercherò di tratteggiare il martinismo, inteso come fenomeno umano e spirituale che ha attraversato i secoli, le guerre, gli sconvolgimenti sociali e spirituali per giungere fino a noi. E’ doveroso premettere che alla domanda cosa mai sia il Martinismo, spesso non vi è omogeneità di vedute specie fra i marinisti. Riscontrando una certa varietà di orientamenti, frutto di una certa riottosità, da parte di qualcuno, nel dedicarsi al serio studio del nostro movimento, oppure dalla volontà di leggerlo con le lenti del proprio ego, e della pretesa di giustificare a posteriori una vita iniziatica spesso confusa ed arida. Premetto che un’evidente idea su cosa mai sia il martinismo, può emergere dal chiachericcio della mente, solamente attraverso la pratica, e lo studio sostanziale del lascito dei Maestri Passati. Non vale qui da noi nessuna forma di equipollenza, e neppure i titoli di, dubbio, merito conquistati in altre istituzioni.
Fondamentalmente è possibile affermare che il martinismo è una libera associazione di uomini e donne che si riconoscono attorno ad un ideale di reintegrazione spirituale, e perseguono questo obiettivo tramite gli strumenti e gli insegnamenti propri della struttura in cui operano. Questo ideale, seppur in forme e contenuti peculiari, è presente in ogni tradizione e cultura iniziatica; ed assume nel martinismo veste simbolica, esoterica, ed operativa cristiana. In quanto il martinismo, come vedremo nel proseguimento della lettura, è Ordine Cristiano Iniziatico ed è quindi nei suoi simboli, narrazioni, miti, e corrente spirituale che trova impianto, fisionomia e linfa vitale la propria docetica e ritualità.
La struttura martinista, sia essa un Ordine, oppure costituita dalla loggia del singolo Iniziatore, ha come finalità quella di trasmettere la forma e la sostanza dell’iniziazione martinista. La quale si sviluppa, a seguito di un rituale associativo, attraverso un duplice binario: la formazione filosofica ed operativa dell’iniziato alla via della reintegrazione dell’uomo nell’uomo e dell’uomo nel divino. Ben comprendo che sussistono strutture, per me poco comprensibili, dove la formazione martinista è ridotta a studio di testi, oppure, e peggio ancora, all’abbeverarsi delle narrazioni, ampie, di taluni filosofi, che confondono l’Oriente con un luogo di perenne logorroica conferenza. Ritengo, pur tuttavia, che elemento peculiare dell’iniziazione martinista sia il procedere oltre la fase meramente informativa, lungo una via di formazione rituale e di serio lavoro interiore.

A proposito della funzione dell’Ordine Martinista, scrive Nebo (Francesco Brunelli): “Voglio concludere che lo studio approfondito dei rituali di iniziazione e delle tecniche note mi fanno affermare che l’Ordine conferisce ai suoi membri: – una iniziazione oggettiva caratterizzata dall’introduzione dell’Uomo di desiderio in un nuovo mondo ed in una nuova dimensione mediante la creazione del legamento iniziatico che termina con la trasmissione del Sacramento dell’Ordine e con la potestà sacrale di poterlo a sua volta conferire. La possibilità di una iniziazione soggettiva, realizzantesi cioè in virtù del lavoro e delle applicazioni pratiche dell’iniziato che lo porta sino alla soglia dell’Adeptato, sino cioè alla soglia della realizzazione ultima. Qui finisce la missione dell’Ordine Martinista. Tale missione si estrinseca mediante:
a) la trasmissione fisica da Iniziatore ad Iniziando delle energie eggregoriche, che avviene durante i differenti riti di Iniziazione (il legamento); b) la trasmissione di una dottrina che è quella contenuta nei rituali e che deve essere sviluppata da ciascuno mediante una ricerca, uno studio ed una applicazione costante; c) il simbolismo che rinserra parte della dottrina e parte delle tecniche, prima tra queste la introspezione, la purificazione, la meditazione ecc… ; d) i riti di catena (che possono essere variati in ogni momento senza pertanto comportare una variazione nella sostanza e nello scopo dei riti di catena stessi) con l’inevitabile effetto traente dell’Eggregoro e la rivelazione degli Arcani; e) i riti individuali trasmutatori dopo la rivelazione. Questa è la nostra risposta alla domanda: “Dove porta il Martinismo?”

L’accesso al martinismo avviene tramite una regolare e tradizionale iniziazione conferita da un Superiore Incognito Iniziatore. Essa si esprime in una rituale associazione solitaria o all’interno di una loggia, ma sempre rispettando la forma consona ai riti e simboli propri del Nostro Venerabile Ordine. Nel martinismo non vi sono, o non vi dovrebbero essere, pregiudiziali legate al sesso, alla razza, all’orientamento politico, o spirituale. Salvo ovviamente verificare, e tale gravoso compito dovrebbe essere svolto da colui che accoglie nella catena fraterna, oltreché dallo stesso postulante, che non sussistano degli elementi, nella vita profana e animica dell’aspirante fratello, conflittuali con il desiderio di reintegrazione, e con l’insieme dei valori espressi e raccolti dalla struttura di riferimento. Sarebbe quindi, visto il numero non esiguo di organizzazioni martiniste, auspicabile che il bussante provvedesse a chiedere, semmai esiste, il manifesto della realtà di cui intende divenire parte integrante della catena. Sarebbe, al contempo, doveroso che colui che ha la facoltà di accogliere il bussante, si chiedesse cosa spinge il passo di quest’ultimo: è desiderio di conoscenza, o è desiderio di apparenza? Tali consigli, che mi permetto di dare, sono rivolti ad evitare tristi situazioni che inevitabilmente si verificheranno qualora qualità ed aspettative non trovino adeguata corrispondenza. Seppur è vero che l’Uomo di reale Desiderio procederà comunque lungo la via della reintegrazione, è altrettanto vero che non tutti i percorsi possono risultare congeniali a determinate caratteristiche, oppure essere necessari e reali viatici per la meta intravista.
È bene sottolineare che quando parliamo di desiderio qui non è inteso come un movimento dettato dalle emozioni, o da irrazionali e istintuali pulsioni di possesso o di apparenza. Quanto piuttosto da una tensione ideale di tutto l’essere verso un processo di profonda trasformazione interiore. La quale procede attraverso la comprensione di ciò che siamo, la raccolta delle energie interiori, il beneficiare degli influssi spirituali necessari per avanzare, spesso in modo non lineare, lungo la via della separazione di ciò che è autentico da ciò che è superfluo, dalla riorganizzazione attorno ad un nuovo centro di gravitazione interiore, e successivamente della comunione con il divino che in noi alberga. Ecco quindi che condotte di vita deleterie, idee disgreganti, pulsioni distruttive, confusione della mente, squilibrio dell’anima e le dipendenze del corpo, non possono che portare ad un’incompatibilità con il nostro percorso che necessita di autonomia ed equilibrio. In presenza di questi elementi ostativi l’incaponirsi nell’associare e nel procedere lungo la via della reintegrazione, condurrà inevitabilmente a forzatura e a malessere in colui che vorrebbe avanzare, ma che non può farlo in quanto disarmonico con la nostra fratellanza, e i nostri strumenti.
Il martinismo, nelle sue forme più alte, vuole proporre un percorso di studi filosofici, e di continua opera interiore, ed è quindi riservato naturalmente a coloro che hanno in grazia l’ideale di costante miglioramento, di continua conoscenza, e di finale liberazione dai legami di questo mondo. Non vi può essere quindi spazio a coloro che perturbati, inevitabilmente perturberanno i sottili equilibri delle nostre catene.
Nebo (Francesco Brunelli): “Già i riti individuali inseriti sin dal primo grado, e gli altri, fanno presagire che il membro dell’Ordine deve proseguire oltre, attraverso una sua ascesi personale, attraverso delle tecniche particolari che l’iniziatore gli potrà o no affidare e che necessariamente si basano sull’albero della vita il pentacolo a noi giunto dalla tradizione kabbalistica, ma che sicuramente trae origini dall’Egitto, dalla Caldea ecc… e che, come tale, scrive Ambelain, non ha potuto subire quelle alterazioni o quelle deformazioni cui possono andare incontro dei testi. In questo pentacolo che esprime le differenti tappe della creazione e della incarnazione dello “spirito” nella materia e del suo ritorno alla fonte primigenia, nonché le sfere di influenza dell’Universo sull’uomo, il Martinista o meglio l’Adepto, in virtù della legge delle analogie potrà ritrovare quelle chiavi che gli permettono l’identificazione con il SE, il suo Angelo o il suo Demone, tappa questa unica e fondamentale per la effettiva realizzazione della riconciliazione individuale e della reintegrazione universale”.

È attraverso gli strumenti che la struttura offre (purificazione, preghiera, teurgia, e sacerdozio) che l’iniziato martinista è posto al centro dell’Opera nella sua integralità. Strumenti, come vedremo, intimamente connessi e fra loro complementari, la cui armonica sinergia si sviluppa progressivamente e durevolmente.

Sulla purificazione il Maestro Passato Giovanni Aniel scrive: “I riti di purificazione riguardano tutte le regioni del composto umano, dalla fisica all’astrale, alla mentale, alla spirituale; trascurarne una soltanto può significare, sia pure non necessariamente, l’averle trascurate tutte. Questo è un discorso, per così dire, tecnico, che prescinde da principi morali, i quali, a loro volta, debbono, già prima dell’avvio del processo di purificazione, aver avuto quella giusta collocazione che ha, come immediata conseguenza, la senechiana tranquillità dell’animo. Non importa quali principi morali tu ti sia dato, o a quali ti sia ispirato; importa che siano tuoi e che tu li rispetti. Non importa se cambiano mentre tu cambi; importa che siano sempre in linea con gli imperativi della tua coscienza. Non importa se non sempre sono conformi alla cosiddetta morale corrente; importa che siano conformi a ciò che non muta”.

Sulla preghiera il Maestro Aldebaran (Gastone Ventura):”Viene chiamata la “Preghiera del cuore” ed è la vera “Via Cardiaca”. Non è una semplice e banale sensibilità ma, al contrario, esige una padronanza speciale, una tecnica della preghiera, una scienza spirituale alla quale i monaci si consacrano completamente. Il metodo della preghiera interiore o spirituale conosciuta sotto il nome di “Esicasmo” (dal nome di San Esichio del Sinai del VIII secolo) appartiene alla tradizione ascetica della Chiesa d’Oriente e risale all’antichità. Si trasmette oralmente da maestro a discepolo, con l’esempio e la direzione spirituale, come in india o in Tibet. Questa disciplina fu messa per iscritto all’inizio del secolo XI ma si trovano tracce di essa presso i grandi mistici del III secolo e in alcuni testi dove certi attributi del Cristo sono legati alla teoria dei Nomi Divini o Nomi di Potere/Potenza della Cabala”.

Sul carattere sacerdotale il compianto ed amato Francesco (L.E.):”Il martinismo è una scuola a carattere sacerdotale in cui il Superiore Incognito è colui che ha raggiunto il massimo delle capacità operative”.

Sulla Teurgia Aurifer:”La Teurgia (dal greco theos = dio e ergon = opera) è l’aspetto più elevato, più puro ed anche più sapiente, di ciò che l’uomo qualunque chiama Magia. Definire la seconda, per poi prenderne in considerazione solo l’essenza e l’aspetto più puri, vuol dire conseguire la prima”.

Sulla purificazione il Grande Maestro Nicolaus (O.M.U.):”Siamo scintille Divine che, per errore compiuto, sono precipitate nella materia e si sono ad essa mescolate, per cui dobbiamo purificarci dalla materia! Dobbiamo liberarci della nostra componente animale! Dobbiamo dedicare la nostra esistenza terrena alla lotta contro il male che ci avvolge! Dobbiamo elevarci per divenire simili agli Angeli ed avvicinarci a Dio!”

Ecco quindi come ognuno di questi strumenti (preghiera, sacerdozio, purificazione e teurgia) compongono il necessario bagaglio attraverso cui non solo perseguire la via della reintegrazione, ma al contempo poter esprimere il genio e l’arte del martinista. In quanto il nostro viatico è individuale, e vi deve essere somma cura ed attenzione a quelle intime espressioni dell’animo e dell’intelletto del nostro iniziato. Il vero iniziatore martinista, il vero Grande Maestro, non desidererà creare dei cloni a sua immagine e somiglianza, non si circonderà di figure domate e mediocri, ma cercherà di trasmettere a spiriti sulla via della libertà, a menti curiose, strumenti ed arte a loro congeniali. In quanto la vera ricchezza sta nella diversità, e non nell’uniformità. La vitalità di una catena martinista è data dalla metallica varietà dei suoi anelli, in quanto la loro caratteristica essenza permetterà alla medesima di superare i momenti di caduta energetica di un singolo componente. Nel caso in cui tutti fossero eguali, il fallimento dell’unico tipo comporterebbe la stagnazione o la morte della catena stessa.
È lo stesso martinista, consapevole dell’impegno che si assume e del proprio livello dell’essere, che chiede all’Iniziatore di ricevere maggiore luce, di salire lungo la nostra limitata piramide iniziatica. Gravandosi ad ogni scalino non di onore, non di vanagloria, non di arroganza verso gli altri,bensì di umiltà nel servire gli altri e la scintilla divina che in lui arde giammai assopita.

Scrive Francesco (L.E.): “è il martinista che, sollecitato del proprio sviluppo, chiede il passaggio da un livello all’altro; questo, però, dimostra la grande responsabilità che il martinista deve assumersi prima di fare una tale richiesta, che in ogni caso deve corrispondere effettivamente ad un reale stato iniziatico, tale da giustificare la richiesta stessa dovendo essa rappresentare la proiezione di una avvenuta crescita interiore”.

Ancora sulla purificazione Elenandro XI: “Ciò che deve esser sostegno in questa azione di purificazione, attraverso atti simbolici e simpatici che devono essere poi interiorizzati, deve essere la Volontà di fare emergere alla luce il pensiero vergine indispensabile per officiare un rito. Al contempo, la volontà, deve esser rivolta a di rettificare le energie interne e liberare i canali attraverso cui esse dovrebbero fluire.” 

Spero che sia emerso quanto sostanzialmente è il martinismo: un percorso di reintegrazione individuale attraverso strumenti appartenenti alla tradizione occidentale, all’interno di un perimetro filosofico/spirituale/simbolico cristiano, riservato per uomini e donne animati da desiderio e capaci di essere autonomi e consapevoli innanzi alle scelte che l’iniziazione porrà innanzi a loro.
Ovviamente questo processo, questo meccanismo, iniziatico non è avulso dalle contingenze del tempo e dello spazio dove i martinisti hanno ad operare. La Tradizione viene letta, ed implementata, in base alle esigenze e alle capacità dei suoi fedeli d’amore. La storia del martinismo del resto ci insegna che tenuti fissi alcuni elementi simbolici e filosofici, tutto è sempre stato soggetto ad integrazione ed attualizzazione. Su questo modo di aderenza della Tradizione al Mondo, leggiamo questo passo: “La Tradizione non ha nulla di sé che sia immobile né in relazione al passato né per un particolare concatenamento ad una determinata esegesi della problematica esistenziale. La Tradizione è piuttosto la somma di Pensiero nel significato globale della propria vivente Unità, la quale, proprio perché eternamente vivente, è, nello scorrere del tempo, valore dinamico di ripresa nel continuo divenire delle forze ideali come valore di un Eterno Presente. Penso di non essere in errore affermando dunque che il volto perfetto della Tradizione è la Conoscenza, che noi preferiamo definire la GNOSI, nella sua santità e perfezione. Fratelli e Sorelle nella catena Martinista!… ”.(ALOYSIUS Venerato Maestro Passato)

Ovviamente tale processo di dinamica implementazione non deve stravolgere i fondamentali del martinismo, e non deve alterare la finalità che il N.V.O si propone. Per questo sarebbe necessario che sussistesse estrema cautela, vista l’autonomia docetica dei Superiori Incogniti Iniziatori, nel proporre fratelli e sorelle al ruolo di Filosofi e guida per altri. Onde evitare che processi di purificazione interna, e comprensione del martinismo, parziali o errati determinino la concessione dei poteri iniziatici e docetici a fratelli ancora incompiuti sul piano solare. In tal caso le conseguenze negative ricadono non solo su coloro che sono stati elevati, ma soprattutto nei confronti del martinismo stesso e di coloro che in essi si andranno ad imbattere.
In merito a ciò che è stato evidenziato è bene ricordare che è molto delicato il rapporto che lega un iniziatore ad un iniziato nel martinismo, in quanto inevitabilmente assume caratteristiche personali: nelle quali i giochi psicologici non sono meno rilevanti che le giuste e rette aspirazioni spirituali. Sciaguratamente taluni non riescono a separare, a pesare e misurare, queste due profonde istanze, e la confusione fra ciò che è sacro e ciò che è profano è sempre foriera di dolori e frustrazioni.
Ricordava a tale proposito il maestro Giovanni Aniel: “Noi, lo ripeto, abbiamo strumenti che possono portarci molto lontano: se non usiamo questi strumenti o non lo sappiamo fare, la responsabilità ricade unicamente su noi. Una delle colpe più gravi delle quali possiamo macchiarci davanti alla nostra coscienza consiste nel trasferire all’interno del nostro ambito e della nostra azione sacrale le connotazioni e le modulazioni del mondo profano, che possono essere sintetizzate in una formulazione unica: gestire l’eternità con i parametri del tempo invece di gestire il tempo con i parametri dell’eternità”.

Certo gli strumenti, l’arte di utilizzo, la storia della struttura, la sua regolarità formale e sostanziale sono importanti. Ciò però non deve mai farci dimenticare che il nostro lavoro non si concretizza in forme materiali, ma verte su di un’Opera interiore, ed è quindi somma attenzione, quella che dobbiamo riservare alla scelta di coloro che saranno componenti delle nostre catene. Perché non esiste peggior torto, in quanto è duplice, del trattare il diseguale da eguale. Faremo torto a lui fornendo strumenti e caricandolo di aspettative non propri, e lo faremo verso gli altri costretti a retrocedere e a livellarsi verso un piano inadeguato. Ecco perché personalmente sono piuttosto restio innanzi ad argomentazioni sulla necessità di dover fornire la luce a tutti coloro che la richiedono. Nessuno ci ha obbligato ad essere martinisti, e nessun articolo della costituzione riconosce ciò come diritto personale.

Informazioni su giuseppemerlino

Ingegnere Chimico
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