LO SPIRITO IMPRIGIONATO NELLA MATERIA

Tutte le grandi Religioni presentano aspetti particolari e talvolta particolarissimi dell’unica vera Scienza che sta alla loro base. Questa conoscenza spesso viene chiamata Tradizione Primordiale.
Questa Scienza proviene dall’esperienza diretta di pochi esseri umani che, ritiratisi per anni nelle foreste o nei deserti, hanno raggiunto stadi di coscienza superiore.
Si badi bene che coscienza non vuol dire conoscenza, ma è una vera e propria identificazione con un nuovo e superiore stato dell’essere.
“Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originò la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce”. (Buddha, Discorso di Benares).
Il titolo che abbiamo scelto per questa nota può andar bene per i primi e più bassi di questi stati superiori dell’Essere, perchè, vedremo, che in realtà non esiste né Spirito né Materia.
L’unica realtà esistente è l’Uno e non potrebbe essere altrimenti.
Al di fuori dell’Uno non vi è nulla. L’Uno è al di la del tempo e dello spazio e non è definibile in alcun modo, se non attraverso negazioni: non è questo, non è quello.
All’Uno non sono attribuibili né la qualità dell’essere né quella del non essere, per cui, in alcune tradizioni orientali viene chiamato “vuoto” (Sunyata), ma non è il vuoto come lo intendiamo noi.
All’interno dell’Uno esistono tutti gli universi materiali possibili con i loro innumerevoli esseri viventi, tutti i mondi divini, tutti i mondi semi-divini, tutti i mondi degli spiriti inferiori e tutti mondi degli esseri demoniaci.
Tutti questi mondi sono irreali ed inesistenti, ma assumono realtà solo per le miriadi di esseri, altrettanto irreali, che li popolano.
Talvolta, in rari casi, questi mondi possono entrare in contatto fra di loro: le religioni semitiche (Islam, Cristianesimo ed Ebraismo), ma anche le forme popolari di Induismo, non fanno altro che venerare un mondo divino superiore, reale dal punto di vista umano, ma irreale ed illusorio nella realtà dei fatti.
Non ci meraviglieremo dunque di miracoli, apparizioni e sporadica efficacia dei riti delle Religioni popolari.
Per quanto detto, l’Uno è in tutti questi mondi, ma ne è anche al di fuori.
Leggiamo nella Baghavad Gita:
“Ti dirò di Quello che dev’essere conosciuto, perché tale conoscenza dà l’immortalità. Ascolta del Brahman Supremo senza principio, Colui che non è chiamato né esistente né inesistente. Egli è presente nel mondo, avvolgendo tutto. Le Sue mani e i Suoi piedi sono dappertutto. i Suoi occhi e le Sue orecchie sono da tutte le parti. le Sue bocche e le Sue teste sono ovunque. Splendente in tutte le funzioni dei sensi e tuttavia trascendente i sensi; non attaccato alla creazione e tuttavia il Sostegno di tutto; libero dai costituenti e tuttavia Colui che ne gode. Egli è dentro e fuori tutto ciò che esiste, l’animato e l’inanimato; Egli è nel contempo vicino e lontano; impercettibile a causa della Sua sottigliezza. Egli, l’Uno Indivisibile, appare come innumerevoli esseri. Egli sostiene e distrugge le loro forme, e poi le crea di nuovo. Luce di tutte le Luci, al di là dell’oscurità; Conoscenza stessa, Quello che dev’essere conosciuto, la Meta di ogni sapere, Egli dimora nei cuori di tutti”.
Che vuol dire dunque “Spirito imprigionato nella Materia” ?
La prima considerazione da fare è che lo stato di esistenza umana (e di tutte le forme di vita del nostro piano di esistenza) è uno stato di sofferenza atroce.
La quasi totalità degli uomini “occidentali” e una buona parte di quelli “orientali”, non se ne rende conto, in quanto non ha mai conosciuto neanche il primo stadio di esistenza superiore.
Dunque il primo e già difficile passo della liberazione dello Spirito dalla prigione della Materia è il riconoscimento e la piena consapevolezza dello stato umano come sofferenza, uno stato doloroso da cui liberarsi.
Si badi bene che questo stato è identico in tutti gli infiniti mondi illusori presenti nell’Uno, superiori ed inferiori, e quindi anche nel mondo divino e non dunque presente solo nello stato umano.
Densa di significato dunque la leggenda che vuole che, appena il Buddha conseguì la liberazione, il dio supremo Brahama si recò da lui, gli rese omaggio e se la fece esporre.
Ma che cos’è lo Spirito ? Semplicemente il riconoscere che l’esperienza umana è esclusivamente mentale.
Nell’esperienza ordinaria siamo abituati a distinguere tra un Soggetto ed un Oggetto: io guardo un albero e “stabilisco” che io sono il Soggetto e l’albero è l’Oggetto. Ad un attento esame è però facile notare che entrambi siamo parte di una rappresentazione mentale, al di fuori della quale è impossibile uscire.
All’interno di questa Rappresentazione, ci sono io e tutto ciò che io reputo essere “fuori” di me.
L’Errore consiste nel mio identificarmi solo con un lato della Rappresentazione, quello che definisco col nome di “io”.
L’Essere reale non è dunque l’io, ma il Testimone dell’intera Rappresentazione della quale l’io è solo una delle parti.
Dobbiamo dunque riconoscere che siamo precipitati in una realtà illusoria che crea la convinzione di un io individuale e di una realtà esterna all’io. Il Testimone è prigioniero di questa realtà illusoria la cui natura caotica è ordinata dalle categorie, altrettanto irreali, del Tempo e dello Spazio.
Gli oggetti non sono dunque che pensiero, ma laddove c’è un oggetto, sorge necessariamente il soggetto e l’illusione della dualità.
Quindi l’io empirico, per dirla in termini buddhistici, è vittima dell’Ignoranza metafisica (Avidya) per cui non riconosce che tutto è pensiero, un pensiero senza soggetto ed oggetto.
Il punto più difficile da superare è la convinzione che esistano molti “io” che hanno la medesima rappresentazione, cioè molti e diversi esseri senzienti.
In realtà, come dice Fichte, nel momento dell’Errore in cui l’Io pone se stesso, nasce immediatamente il Non-Io e l’Io, limitato dal Non-Io, si frammenta nella molteplicità degli esseri senzienti.
Alcuni esseri umani hanno sollevato il velo di Maya, sono cioè riusciti a liberarsi da questo stato illusorio, da questa prigione di sofferenza, da queste catene e, per compassione, hanno tentato di indicare la via agli esseri umani, ma “Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” dicono le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Matteo (7,14).
Purtroppo nella quasi totalità dei casi queste parole sono state fraintese e sono nate diverse Religioni, spesso infantili ed elementari, che tanti danni hanno creato all’uomo ed alla sua evoluzione spirituale.
Anche il Buddha ha parlato di un sentiero lungo e difficile, ma la sua esposizione, rigidamente scientifica, se meditata in ogni suo passo, ci sembra la migliore per raggiungere la liberazione dalla sofferenza.
Per quanto detto finora, non esiste una distinzione tra anima e corpo, ma solo uno stato puramente mentale in cui siamo apparentemente imprigionati.
Prigionieri nel nostro mondo mentale ed attaccati all’illusione di un io individuale, siamo infatti monadi senza ne porte ne finestre (per dirla alla Leibniz), ognuna dotata di una propria rappresentazione mentale dalla quale è impossibile uscire.
Crediamo esterno e reale tutto ciò che invece è realtà esclusiva della nostra mente e dividiamo il nostro mondo mentale in due poli illusori: un io ed un mondo esterno all’io.
Eppure basta un attimo per rovesciare questa situazione: fermando la mente si risale all’unico Testimone dell’intera rappresentazione mentale, Colui che è sia l’io individuale, sia le cose “esterne” all’io, Colui che vede attraverso miliardi di occhi, che sente attraverso miliardi di orecchie, Colui che tocca attraverso miliardi di mani.
Le antiche Upanishad induiste ci ricordano continuamente che quella che crediamo un’anima individuale è in realtà l’Uno, unico reale esistente:
“Questo supremo Brahman, anima universale, immensa dimora di tutto ciò che esiste, più sottile di ogni cosa sottile, costante: in verità é te stesso, perché Tu sei Quello” (Kaivalya Upanishad, I, 16).
Chi dunque decida di intraprendere la via ricordi e tenga presente che, nel suo percorso egli è solo: non vi sono divinità che vengono in suo soccorso, non vi è un Salvatore. Il mondo divino è egualmente prigioniero della manifestazione e nessun dio può mai essere superiore ad un Buddha, un illuminato.
Egli dovrà restare imperturbabile man mano che, nella sua ascesa, altri mondi ed altri piani della realtà gli si presenteranno. Sopratutto non si dovrà lasciare incantare da alcuno di essi, cosciente della loro illusorietà. Quando raggiungerà lo stadio in cui potrà compiere azioni miracolose, assolutamente non dovrà mai usare questi suoi poteri.
Fermo, Impassibile, solitario, imperturbabile, con la mente salda percorrerà il sentiero praticando la retta comprensione della illusorietà dell’io individuale, la retta intenzione al non-attaccamento ed alla cessazione di ogni bramosia, il retto modo di parlare, la retta azione non motivata da fini egoistici svolta senza attaccamento verso i suoi frutti, la retta sussistenza che non implichi danno o sofferenza ad altri esseri viventi, il retto sforzo nella meditazione senza eccessi nel mortificare il proprio corpo, la retta presenza mentale “fermando” la mente che, come una scimmia, salta di ramo in ramo e la retta concentrazione per fissare gli stati raggiunti e non perderli dopo un istante.
“Esiste, o monaci, un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato. Se non ci fosse questo non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, non si potrebbe scorgere via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato. Ma poiché, invece, c’è un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, si scorge una via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato”. (Buddha)

Informazioni su giuseppemerlino

Ingegnere Chimico
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