IL VELO DI MAYA

Chiariamo subito che il concetto di “Velo di Maya” non proviene dalla tradizione induista, come è diffusa credenza, ma è un concetto introdotto dal filosofo Arthur Schopenhauer nel diciannovesimo secolo.
Nell’Induismo il termine sanscrito Maya indica genericamente quel magico potere divino che crea mille forme ed esperienze nelle quali l’uomo è irrimediabilmente prigioniero, scambiando per reale un sogno illusorio ed ingannevole.
Maya è quasi un fantasmagorico gioco magico che cela l’immutabile Principio Assoluto, il Brahman, e crea l’illusorio mondo materiale.
Schopenhauer, che fu un grande studioso delle filosofie orientali, conscio che il mondo materiale è solo apparenza, illusione e sogno, affermò ripetutamente nelle sue opere che tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il Velo di Maya.
La nostra “realtà” è dunque, secondo Schopenhauer, una “rappresentazione” che ha due aspetti essenziali: il soggetto rappresentante e l’oggetto rappresentato. Entrambi esistono soltanto all’interno della rappresentazione, come due lati o parti di essa, tanto che non può esistere soggetto senza oggetto.
Nella sua opera “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione” egli riconosce l’esistenza di una forza cieca, che egli denomina come Volontà, analoga alla Maya induista: una forza priva di finalità, arbitraria, causa dell’esistenza della Rappresentazione bipolare caratterizzata dal dualismo Soggetto-Oggetto, che causa una insaziabile attaccamento al mondo irreale ed illusorio in cui siamo immersi.
Fedele alle concezioni filosofiche orientali, Schopenhauer afferma che esiste la possibilità di squarciare il Velo di Maya, cioè di uscire dalla condizione umana attraverso la “Liberazione”. Il primo passo per conseguire questo stato è quello di prendere coscienza che si sta vivendo nell’illusione: occorre dunque uscire dall’ambito fenomenico e sottrarsi al dominio della Volontà.

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Ingegnere Chimico
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