PLATONE ESOTERICO: LETTERA VII

Cristo, Buddha ed i pochi altri esseri umani che hanno raggiunto l’Illuminazione, non hanno mai scritto nulla, non hanno lasciato alcuno scritto.
Il motivo è molto semplice: la Scienza che, per compassione, hanno tentato di comunicare ai discepoli, non è esprimibile mediate parole, mediante un linguaggio discorsivo. Essa può essere appresa solo dalla comunicazione diretta Maestro-Discepolo.
Il lettore obietterà : “Ma Platone ha lasciato una infinità di scritti !”.
Più avanti vedremo come lo stesso Platone giudica questi scritti insufficienti. Anticipiamo solo una frase: “Su queste cose non c’è, ne mai ci sarà, un mio scritto”.
Il fatto è che, nel lungo cammino dell’adepto verso la liberazione dalla prigione della mente e dalle catene della materia, ad un certo punto, la conoscenza teorica diventa inutile, anzi è quasi di ostacolo alla prosecuzione dello stretto e lungo percorso che conduce all’Illuminazione.
Alcuni uomini hanno raggiunto una conoscenza teorica completa della Verità, ma, in pratica, non hanno ottenuto nulla in concreto.
Buddha paragonò questa conoscenza teorica ad una zattera con la quale si è attraversato il fiume dell’ignoranza ed aggiunse che, una volta giunti sull’altra sponda, sarebbe da folli proseguire il cammino caricandosi la zattera sulle spalle.
D’altra parte leggiamo nelle Upanisad induiste:
“Il saggio, dopo aver studiato i trattati della conoscenza religiosa e profana, abbandoni completamente tali trattati, come colui che cercando il seme abbandona la scorza” (Brahmabindù Upanishad,18).
“Attraverso il solo studio delle scritture o con l’erudizione non si può realizzare l’Atman, e nemmeno tramite l’intellettualismo e i dibattiti in aula” (Katha Upanishad, I, II, 23).
Lasciamo ora parlare il grande Platone, come riportato nella sua famosa lettera VII:
“Questo tuttavia io posso dire di tutti quelli che hanno scritto e scriveranno dicendo di conoscere ciò di cui io mi occupo per averlo sentito esporre o da me o da altri o per averlo scoperto essi stessi, che non capiscono nulla, a mio giudizio, di queste cose. Su di esse non c’è, né vi sarà, alcun mio scritto.
Perché non è, questa mia, una Scienza come le altre: essa non si può in alcun modo comunicare, ma come una fiamma s’accende dal fuoco che balza: nasce d’improvviso nell’anima dopo un lungo periodo di discussioni sull’argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima. Questo tuttavia io so, che, se ne scrivessi o ne parlassi io stesso, queste cose le direi cosí come nessun altro saprebbe, e so anche che se fossero scritte male, molto me ne affliggerei.
Se invece credessi che si dovessero scrivere e render note ai più in modo adeguato e si potessero comunicare, che cosa avrei potuto fare di più bello nella mia vita, che scriver queste cose utilissime per gli uomini, traendo alla luce per tutti la natura?
Ma io non penso che tale occupazione, come si dice, sia giovevole a tutti. Giova soltanto a quei pochi che da soli, dopo qualche indicazione, possono progredire fino in fondo alla ricerca: gli altri ne trarrebbero soltanto un ingiustificato disprezzo o una sciocca e superba presunzione, quasi avessero appreso qualche cosa di magnifico.
Ma di questo voglio parlare ancora e più a lungo, e forse, dopo che avrò parlato, qualcuna delle cose che dico riuscirà più chiara. V’è infatti una ragione profonda, che sconsiglia di scrivere anche su uno solo di questi argomenti, ragione che io ho già dichiarata piú volte, ma che mi sembra opportuno ripetere”.

Informazioni su giuseppemerlino

Ingegnere Chimico
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