LA COMPASSIONE PER TUTTI GLI ESSERI VIVENTI NEL BUDDHISMO

Nella lingua italiana il termine “compassione” viene recepito dai più con “avere pietà”, “provare commiserazione”.
Se però si considera la sua etimologia dalle parole latine “cum” (insieme) e patior (soffro), il termine assume il significato più ampio e più nobile di partecipazione alla sofferenza dell’altro.
La prima nobile verità del messaggio buddhista, la verità del dolore, ci insegna che la condizione umana è uno stato di atroce sofferenza, del quale la maggioranza dell’umanità non è consapevole perché non ha mai sperimentato gli stati superiori.
Non solo l’uomo è vittima di questa condizione, ma lo sono tutti gli esseri viventi.
La compassione buddhista è dunque quel primo passo sul sentiero verso la Liberazione dalle catene del mondo materiale col quale l’asceta diventa consapevole di essere solo una singolarità, una sola manifestazione di una realtà unica che comprende tutti gli esseri viventi.
Questa compassione è dunque rivolta a tutti gli esseri viventi, non solo agli esseri umani ed assume il significato più ampio di amore per ogni forma di vita.
Ricordiamo che, per il Buddhismo, l’io individuale è solo un’illusione, non esiste un io separato per ogni essere vivente.
Dunque tutti gli animali che, come l’uomo, sono vittime di questa illusione ed incatenati in un mondo di sofferenza caratterizzato dalla legge spietata della natura, sono solo i nostri fratelli minori, compagni di tribolazione, afflizione e patimento.
Dunque il concetto di “compassione” nel Buddhismo si estende a tutte le forme viventi :
“Nessuna cosa vivente deve essere uccisa, non il più piccolo animale o insetto, perché ogni vita è sacra” (Buddha).

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Ingegnere Chimico
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