ALCHIMIA: LA TRASMUTAZIONE DI HELVETIUS

Johann Friedrich Schweitzer, detto Helvetius, era un noto medico olandese, autore di numerose opere e trattati, molto stimato ai suoi tempi.
Egli fu il medico personale del principe di Orange-Nassau che poi divenne re d’Inghilterra col nome di Guglielmo III e non va confuso con i suoi discendenti atrettanto famosi Jean Claude Adrien Helvetius (medico alla corte di Francia) e Claude Adrien Helvetius (noto filosofo).
Helvetius, da buon filosofo razionalista, era un feroce avversario dell’Alchimia, ma cambiò completamente idea in seguito ad un episodio che visse in prima persona nel 1666, da lui narrato nella sua opera “Vitulus Aureus quem mundus adorat” pubblicata all’Aia nel 1667, di cui riportiamo un breve riassunto:
La mattina del 27 dicembre 1666, uno straniero si presentò a casa di Helvetius. Era un uomo di aspetto onesto, di atteggiamento autoritario, vestito di un semplice mantello.
Dopo aver domandato ad Helvetius se credeva nella pietra filosofale (domanda a cui il famoso dottore rispose negativamente), lo straniero aprì una piccola scatola di avorio contenente tre frammenti di una sostanza che somigliava a vetro, dichiarando che era la famosa pietra e che, con una quantità anche minima, poteva produrre venti botti d’oro.
Helvetius ne tenne un frammento in mano e, ringraziato il visitatore della sua amabilità, lo pregò di dargliene un po’. L’alchimista rifiutò con tono brusco, aggiungendo poi con più cortesia che, neanche per tutta la fortuna di Helvetius, non si sarebbe potuto separare dalla più piccola particella di quel minerale, per una ragione che non gli era permesso di divulgare.
Pregato di fornire la prova di quanto aveva detto, operando una trasmutazione, lo straniero rispose che sarebbe ritornato tre settimane dopo e avrebbe mostrato ad Helvetius una cosa capace di stupirlo.
Ritornò puntualmente il giorno detto, ma rifiutò di operare, affermando che gli era vietato di rivelare il segreto. Condiscese però a dare ad Helvetius un piccolo frammento della pietra “non più grosso di un granello di senape”.
E poiché il dottore manifestava il dubbio che una quantità tanto minuscola potesse produrre il benché minimo effetto, l’alchimista spezzò la particella in due, ne gettò una metà e gli porse l’altra dicendo: “Ecco proprio ciò che vi basta”.
Il nostro filosofo dovette allora confessare che durante la prima visita dello straniero era riuscito ad appropriarsi di alcune particelle della pietra e che esse avevano cambiato il piombo non in oro, bensì in vetro.
“Voi avreste dovuto proteggere il vostro bottino con cera gialla” rispose l’alchimista. “Questo l’avrebbe aiutato a penetrare il piombo e a trasformarlo in oro”.
L’uomo promise di ritornare la mattina dopo, alle nove, e di operare il miracolo, ma non tornò, e neanche il giorno dopo.
Vedendo questo la moglie di Helvetius lo persuase a tentare lui stesso la trasmutazione.
Helvetius procedette secondo le istruzioni dello straniero. Fece fondere tre dramme di piombo, rivestì la pietra di cera, e la lasciò cadere nel metallo liquido. Questo si mutò in oro !
Marito e moglie lo portarono immediatamente all’orefice il quale dichiarò che era l’oro più fino che avesse mai visto, e offrì cinquanta fiorini l’oncia.
La notizia si diffuse con la velocità di una miccia accesa. Il famoso filosofo Spinoza, che certo non possiamo contare nel numero degli ingenui, volle rendersi conto della faccenda. Andò a trovare l’orefice che aveva esaminato l’oro ed il resoconto fu più che favorevole.
L’orefice, Brechtel, coniava le monete per il duca di Orange. Conosceva certamente il suo mestiere. Sembra difficile credere che abbia potuto essere vittima di un trucco o che abbia voluto ingannare Spinoza.
Spinoza si recò allora da Helvetius che gli mostrò l’oro ed il crogiolo che era servito all’operazione. Frammenti del prezioso metallo aderivano ancora all’interno del recipiente. Come gli altri, Spinoza fu convinto che la trasmutazione era realmente avvenuta.

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Ingegnere Chimico
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